La Rivoluzione
Il racconto di Marco sulla grande classica del Caporal
Via della Rivoluzione, un tracciato audace sullo scudo del Caporal Gian Piero Motti e Ugo Manera, 1 ottobre 1973 6a+/A3
Risalendo la Valle dell’Orco poco dopo Noasca, quando la strada comincia ad inerpicarsi nella cupa e selvaggia gola che poi, come per incanto, si apre e lascia spazio alla splendida conca di Ceresole Reale, sovente il mio sguardo si era posato, poco prima della galleria, su una gigantesca lastra di granito grigio e giallastro che si alzava per più di 200 metri da un caos di blocchi ammonticchiati.
Lo sguardo indagatore andava alla ricerca di qualche possibile via di salita tra quei lastroni panciuti e levigati che ricordavano le muraglie granitiche della Yosemite Valley in California. Ma ogni desiderio di salire mi pareva impossibile…” Così in un articolo Gian Piero Motti descrive il Caporal, una delle pareti più belle e più famose del Piemonte. Questa parete ha una storia alpinistica di 45 anni, che val la pena di conoscere e soprattutto di ripercorrere. Gian Piero Motti era consapevole che in Valle dell’Orco si stava aprendo un capitolo nuovo nell’arrampicata, un “Nuovo Mattino”, e nel ’72 apre la prima via al Caporal, “Tempi moderni”. L’ anno successivo arriva il genovese Alessandro Gogna che con Leo Cerruti, in risposta ai “Tempi moderni” di Motti apre “Tempi duri”. Motti non si ferma e apre “Sole nascente”, la “Rivoluzione”, “Il lungo cammino dei Comanches” e “Itaca nel sole”, legandosi in cordata con Guido Morello, Ugo Manera, Gian Carlo Grassi, Danilo Galante e Mike Kosterlitz. Lo scozzese innalza il livello dell’arrampicata libera su granito fino a difficoltà allora sconosciute ai piemontesi. Kosterlitz purtroppo non arrampica più, ed è tornato in Inghilterra bloccato dalla sclerosi. In compenso ha ricevuto nel 2016 il Nobel per la fisica insieme ai colleghi Thouless e Haldane (per il loro contributo allo studio della materia esotica nel mondo quantistico e per le loro scoperte delle transizioni di fase topologiche della materia).
Io non conoscevo ancora le rocce della valle dell’Orco e ne ho avuto occasione questa primavera con l’amico Giandario Giolito, che invece le conosce bene e le frequenta da anni. Come nostra prima meta abbiamo scelto una via nuova anche per lui, la “Fessura e oltre”, una via trad che prosegue “Fessura per P.A.” alla Piramide con altri cinque tiri di corda aperti da Gianni Lanza sul margine destro del Cubo. Primo incontro con la scalata trad, con il granito della valle dell’Orco e con Gian Piero Motti, che aprì Fessura per P.A. il 12 giugno 1974, da solo e slegato. Il primo ottobre 1973 Gian Piero Motti si lega con Ugo Manera. È proprio Ugo Manera a battezzare queste rocce il Caporal, e se per Motti il mito era la chiave di lettura del presente e al mito sono ispirati i nomi di molte vie da lui aperte, per Manera ogni nuova via era semplicemente “la pi dura e la pi bela”. Quel giorno saliranno la Rivoluzione.
Giandario ed io eravamo da qualche settimana curiosi di esplorare questa bellissima e ardita linea, e forti delle informazioni avute dalle guide Gianni Lanza e Teo Bizzocchi che l’avevano salita recentemente, abbiamo atteso il giorno giusto per andare a Noasca. Ci si porta all’attacco traversando una liscia placca inclinata, senza fidarsi troppo della bruttissima corda fissa. L’ambiente invece è grandioso e la parete sopra la nostra testa, bellissima e assolutamente compatta, è attraversata solo da poche ed esili fessure. Senza sosta è sfiorata da rondini che sfrecciano in volo a pochi centimetri dalla roccia, e che ci accompagneranno per tutta la salita. Il primo tiro della Rivoluzione l’abbiamo affrontato in libera. Giandario da primo, con bella ma faticosa arrampicata in Dulfer su lame staccate prima e in un liscio diedro verticale poi, 6a+ e un passo di A0 nel diedro. Ancora lame portano alla prima sosta. Su questo primo tiro si trova solo un chiodo nel diedro, per il resto è facilmente proteggibile con friend. In sosta perdiamo un po’ di tempo per tirare fuori il materiale da artificiale e cambiare le scarpe, operazioni non proprio comode quando si è appesi. Il secondo tiro, completamente in artificiale, tocca a me. La partenza comporta subito due passi in traverso verso destra, un friend e un chiodo, che richiedono dei buoni allunghi ed equilibrio. Si sale poi in leggero strapiombo su vecchi chiodi e friend, che bisogna avere in abbondanza. Si incontra finalmente una placca compattissima, liscia e verticale, dove in apertura furono usati 5 chiodi a pressione. Gian Piero Motti si era fatto costruire per l’occasione un punteruolo con un inserto in metallo duro in punta, ma fu Ugo Manera a praticare i 5 fori, gli unici della sua carriera di arrampicatore. Quei chiodi a pressione lunghi 3 cm e dal diametro di 6 mm sono durati più di quarant’anni. Recentemente uno di questi chiodi si è rotto e per poter percorrere il secondo tiro, erano necessari due inquietanti passaggi su cliff, su una tacchettina inesistente e sul moncone del chiodo a pressione spezzato. In corrispondenza del foro del vecchio chiodo abbiamo trovato in posto un copperhead, probabilmente piazzato prima dell’attuale richiodatura. I cinque chiodi a pressione sono stati sostituiti con fix inox da Enrico Bonino. Secondo lo stesso Manera la richiodatura non snatura il senso di questa salita e serve a mantenere in vita un itinerario storico molto bello. Vi posso garantire che è così perché la progressione in artificiale su chiodi a pressione o su fix è assolutamente la stessa, mentre invece non avrebbe senso la posa di fix dove si progredisce su chiodi o ancoraggi mobili. I cinque fix sono abbastanza vicini e questo tratto si sale agevolmente e in totale sicurezza. Subito dopo viene il bello. Si tratta di seguire una fessura che sale in diagonale verso sinistra e si fa via via più esile. Inizialmente non è difficile, ci sono vecchi chiodi tutti molto solidi e c’è posto per qualche friend medio piccolo. Poi più niente per 8-10 m. Per superare questo tratto avevamo previsto di usare dei chiodi a lama piccoli. Stavo cercando un punto dove piazzare il primo chiodo quando ho notato che in alcuni brevi tratti la fessura si allargava di qualche millimetro per una profondità mai superiore al centimetro. Ho provato ad inserire un micro friend, avevo dei BD C3 fino allo 000, entrava appena ma sembrava tenere, l’ho caricato molto delicatamente e sono andato avanti con questo sistema inserendo altri micro friend fino a quando la conformazione della fessura mi ha fregato. La salvezza è arrivata da un nut, il più piccolo che avevo, che sono riuscito ad inserire proprio sul bordo della fessura. Era incastrato molto bene, ma sapevo di non doverlo trazionare verso l’esterno se non volevo volare e scucire tutta la serie di friend sotto di me. Il mio peso lo reggevano ma una caduta certamente no. Sono salito sul nut con la massima delicatezza di cui sono stato capace, poi ancora micro friend e finalmente ho trovato un bel buco degno di questo nome dove piazzare un friend bello solido. Ancora un passo ed ero in sosta con la gola secca e ho subito finito il litro d’acqua a mia disposizione. Starete pensando che la sto facendo lunga, ma in realtà il secondo tiro mi ha impegnato per quasi un’ora e mezza. La seconda sosta è su staffe sotto a un tetto, mi sistemo abbastanza comodo mentre Giandario sale velocemente recuperando le protezioni mobili. Il terzo tiro traversa a sinistra ancora in artificiale, e presenta due varianti per il superamento di un tetto. Noi siamo saliti sopra al tetto seguendo la via originale dove si trovano tre chiodi a pressione, ma è forse più logico il passaggio che sfrutta una fessura alla radice del tetto, proteggibile con friend. Dopo l’ultimo chiodo a pressione con passo delicato ci si sposta su una cengia che porta alla terza sosta. Giandario vuole provare in libera l’ultimo tiro, che parte su una placca inclinata facile ma non proteggibile. Un breve camino porta all’ultima fessura, in cui si trova qualche chiodo. La relazione la grada 6b, ma a noi è parsa più dura e sono ricomparse le scalette. Dopo cinque ore di scalata, dalla quarta sosta due veloci doppie ci riportano in pochi minuti alla sosta 2 e poi alla base della via. Sebbene secondo Valerio Folco la Rivoluzione sia “una via mai impegnativa e pericolosa, ideale per passare una piacevole giornata in mezzo alla natura”, è certamente un’esperienza potente. Gian Piero Motti, il visionario teorico del “Nuovo Mattino”, si suicidò nella notte tra il 21 e il 22 giugno 1983, all’età di 36 anni. L’arrampicata non è mai stata per lui il fine, ma il mezzo per cercare la strada della Rivoluzione interiore, “quella strada che ora non vedi ma che si dischiuderà mentre la percorri”.
Bibliografia:
La Rivoluzione del progressista. Enrico Bonino e la Via della Rivoluzione al Caporal, in Valle dell’Orco: richiodatura e intervista a Ugo Manera (26 maggio 2017) http://blog.climbingtechnology.com/2017/05/enrico-bonino-e-la-via-della-rivoluzione-14634.html Valle dell’Orco, dal trad all’arrampicata sportiva. Maurizio Oviglia. Edizioni Versante Sud. Settembre 2010 Gian Piero Motti, visionario dell’eterno ritorno. Carlo Caccia. 2003. http://www.intraisass.it/ritratto02.htm Gian Piero Motti, la contemplazione del mistero. Alessandro Gogna. 25 aprile 2014. http://gognablog.com/gian-piero-motti-la-contemplazione-del-mistero/
Marco Roggero